Il bollo culturale

Lo ammetto. Di professione sono grafico e dunque motivato a guardare. Sono un professionista del settore. Non posso fare a meno di guardare per poi vedere. E così faccio.Per fortuna mantengo ancora, con notevole sforzo, una dimensione umana, e così, come tutti gli esseri umani, ho fame, ho delle impellenze e altre cose attirano la mia attenzione, anche quella non visiva. E così mi distraggo.
Quando mi distraggo dal mio essere grafico è il momento che mi sento leggero: ascolto canti di uccelli, rombi d’auto, strilli di bimbi, voci di donne; anche la neve quando cade ha un rumore e la città di colpo si attutisce.
Il mondo ha mille sfaccettature sonore che lo trasformano e trasformano anche la sua immagine. E così il mio sguardo distratto viaggia su mille colori, si offusca per la pioggia e si sfoca per l’età. Il mondo può anche essere fuori fuoco o scuro come la pece. I segni che intersecano i colori sono fari di cromie che tutto fanno ruotare. In questo delirio di immagini, in questa orgia di colori negli ultimi tempi è apparso il “bollo culturale”. Non ho nulla contro i bolli e nemmeno contro il nero ma se mi guardo in giro alle nostre latitudini mi rendo conto che la cultura, quando è veicolata da manifesti, ha il suo bollo. Il suo bollo non è da intendersi come la carta bollata che c’era in Italia una volta e forse c’è ancora, non lo so. Non è un bollo di certificazione: “QUESTA È CULTURA!”. No. Non è proprio così. È un semplice segno, una forma pura, più o meno invasa di bianco, testo, nella maggior parte dei casi, che attira ovviamente la nostra attenzione. Questo è uno stratagemma “grafico”, un modo di rendere comodo qualcosa di scomodo: “E questa cosa ora dove la caccio in ‘sto manifesto? Idea: in un bollo!” Detto tra noi, meglio del quadrato…Il bollo, un po’ come una palla, scivola di qua e di là nel campo visivo. Certo, bisogna fare degli sforzi micidiali a tenerlo fermo, ma credetemi, anche nella nostra professione ci sono i Maradona. Alcuni lo cammuffano, tendono a nasconderlo, come i militari e i bambini con le cose brutte. Facciamolo nero su nero, raffinatissimo…” Detta bene una frase simile aumenta le possibilità di fatturazione. Detta male, suscita una serie di no da parte degli interlocutori. A conti fatti il bollo resta una forma pura, un tondo nero, che per la sua purezza e l’assenza di angoli dà l’illusione di poterlo mettere ovunque si creda. E sopratutto con la sua forza un po’ distrae dal contenuto: un brutto marchio, un numero solo, una lettera minuscola in un bollo nero vivono un’altra vita, si rifanno il look, diventano “forti”. Non ho nulla contro i bolli, son soltanto elementi di una sintassi, forme pure, quasi perfette, ma non credo che facciano cultura. Neanche se dentro gli si scrive “Bollo culturale”.

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